Enrico Benassi
Presentazioni

Antonino Mancuso Fuoco

Antonino Mancuso Fuoco nasce il 13 giugno del 1921 a Capizzi, un paesino arroccato sui Nebrodi. Completato il ciclo della scuola primaria di primo grado, nonostante le attitudini per lo studio, viene avviato al lavoro, ma nei ritagli di tempo si dedica all’arte. Intarsi in legno con scalpello fidiaco, disegni con carbone su pietra ed incisioni talvolta anche sui cladodi dei fichid’india sono le sue prime forme di eliconia espressività. Durante la II guerra mondiale è chiamato alle armi. Negli anni ‘60, per un breve periodo, in seguito a particolari vicissitudini familiari, fa tappa a Ulm Donau (Germania) ma presto raggiungerà Torino laddove per un lasso di tempo si fermerà per motivi di lavoro. “Galeotto” sarà l’incontro con Bolaffi che ne apprezzerà le doti artistiche commissionandogli una serie di tele. Mancuso aveva già da tempo iniziato a dare forma ai colori pullulanti della sua amata Sicilia presso la quale farà ritorno nel 1971 per ricongiungersi al nucleo costituito ( era già infatti padre di tre figli avuti da Maria). Oberato di lavoro non smetterà mai di seguire la sua vocazione maturando di giorno in giorno uno stile pittorico attento alla struttura dello spazio e ai volumi degli oggetti. Realizza nature morte, ritratti, paesaggi e storie di sicilianità pura.
Il 1973 può essere considerato l’anno della riscossa: la pubblicazione su Bolaffiarte che segna il “decollo” tra gli artisti d’avanguardia di pittura naïve.
Anche il collezionismo comincia a guardare con sempre maggiore interesse al suo lavoro. Espone in Italia e all’estero in note località, come Roma, Milano, Pisa, Padova, Messina, ma anche Londra, Cracovia, Vienna, Parigi, Strasburgo, Marsiglia. Sul finire del secolo, in concomitanza con il suo trapasso nel 1996, Mancuso si può considerare ormai “arrivato”.
Oggi si rimane in attesa di una retrospettiva che riveli al territorio che gli ha dato i natali la sua enorme statura. La visione delle sue ultime tele ha un grande impatto anche su molti giovani artisti.

Maria Giacoma Mancuso Fuoco



Nota critica


Le tele di Mancuso rimangono l’unico surrogato di una tradizione che sbiadisce. Osservarle, percossi da un’acuita scrutazione, ci immerge in una babele primitiva in cui ogni immagine subisce un trapasso e rivive “traslata” in una dimensione avanguardistica dove non domina più la legge del “bisogno”.
In una ragnatela di raffigurate azioni covano colori che aderiscono alla complessità della trama, pensata e sviluppata su un piano orchestrato in una dimensione prospettica ed il suo contrario.
Possono essere sgualcite da disordinate quanto esigue circonvoluzioni di una sponda umana, ma condensano i bagliori di una luminosa età che fu di vivi divenuti ora ombre impalpabili.
Frammenti di elementi vitali con sincero fervore trasudano da una “lettura” accurata in cui la maestria del pennello finisce per acciambellare, proprio per l’abilità, come punto interrogativo, l’osservatore.
Bucolica quotidianità inframmezzata da episodi lutulenti di esistenza finiscono per accatastare racconti legati alla fisicità elementare della vita di cui Mancuso si rende disinnescatore in immagini.


Alessandra Iraci Trobbi












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